mercoledì 27 agosto 2008

Ho visto: "Non pensarci"

Vorrei tanto potere spendermi a favore di un film italiano con maggiore prodigalità e senso di generosità.

Vorrei non dovermi trascinare alla ricerca del salvabile, facendo la fatica di vivisezionare una pellicola a cui sottrarre le poche lezioni di cinematografia da proporre alle professionalità coinvolte nel progetto.

Ma purtroppo anche questa volta - sto scrivendo di "Non pensarci" di Gianni Zanasi - mi tocca dire che questo cinemino di chiara influenza telecatodica pecca di sciattezza, il peggiore e il meno perdonabile tra i peccatucci veniali imputabili ad un regista.

Tanto per sgombrare il campo dagli equivoci mettiamo a fuoco i pregi emersi dalla produzione.

Mastandrea mi è piaciuto, mi è parso a suo agio con un bel ruolo.
E per un ex burino che al Maurizio Costanzo Show di dieci anni fa faceva la scimmia di periferia fino all'approdo al serial televisivo, mi pare valga la pena di un apprezzamento sincero.

Il principio trainante del film è anch'esso degno di nota ossia gli effetti dell'illusione nell'ambito della crisi e delle dipendenze che un nucleo familiare comporta per sua natura.

Il tutto condito in salsa di provincia emiliana che di per sè può essere ancora un elemento per misurare ed indagare sul senso di apatia che caratterizza questo senso di bulimia sociale in cui si continuano a spendere appunto le ultime illusioni di un paese vecchio e in ritardo cronico.

Per il resto, il regista Gianni Zanasi, a mio dire, sposta delle sagome senza prospettiva e credibilità sulla scena di un'avventura sospesa tra la follia di un sistema relazionale borghese resosi quasi del tutto insensibile alle trasformazioni che la vita impone (la crisi dell'impresa o il divorsio) o suggerisce (l'avventura della mamma o l'incontro con i delfini per la sorella).

E questa ia considerazione è resa ancora più evidente dalle parole del padre di Stefano, il musicista punk di quasi 36 anni interpretato da Mastandrea.

Rivolgendosi al figlio, questo ex fortunato imprenditore di provincia gli chiede una prima volta cosa sia venuto a fare in quella che un tempo era la sua casa di famiglia e la seconda volta che qualunque sia la strada intrapresa - nel caso di Stefano appunto la musica - va affrontata con coraggio e determinazione.
Insomma, senza pensarci troppo. Consiglio che vale anche per la tante preoccupazioni che possono affliggere persone e cose che ci circondano perché una soluzione la vita la trova.

Ma Mastandrea poteva essere anche un bibliotecario, un venditore di cannucce data l'importanza che il regista attribuisce al passato, al vissuto di questa "maschera" cinematografica che a e è sembrata, come del resto quasi tutti gli altri personaggi, senza il dovuto spessore.
Un tragicomico inganno pirandelliano che la luce del patriarca illumina conferendo senso al dramma quotidiano del vivere.

Ripeto l'idea è interessante, così il cast ripescato da un book di serial targati RAI, e anche certe scene, affiancate alla troppa fretta di confezionare un film con troppe concessioni a tanti generi senza saperne affrontare uno a la massimo due con carattere.

Di seguito il trailer

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