giovedì 18 settembre 2008

Quando la critica rock gioca con la sua presunzione

Qualche giorno fa sono andato a rileggermi sul web i vaniloqui critici che l'enciclopedico Piero Scaruffi - lo avete mai sentito nominare? - ha scritto sui Beatles e lasciato ai posteri come traccia della vera verità a cui il volgo rinuncia per volontaria cecità e noncuranza intellettuale.

Leggasi ottusità.

Ne scrivo perchè i contenuti delle masturbazioni mentali di questo acuto genio della pubblicistica musicale sono un classico esempio di malafede usata per sostenere altrettanti clichè che il profilo dell'intenditore rock - razza meritevole di utti gli anelli di quel signorr - reca con sè.

Tipo che il rock è solo quello che è suonato dagli artisti di colore a cui i musicisti bianchi hanno rubato il futuro e la visceralità degli esordi. 

Il mito degli esordi, la purezza dei primi vagiti, ancora vergini alla barbarie delle mescolanze di generi, forme, timbri è poi un altro luogo comune di chi non sapendo neanche difenderlo, lo sbandiera con tono vittimistico.

Vorrei precisare  che quello che mi fa innervosire è l'idea che trovandosi i libri di Scaruffi negli scaffali delle librerie italiane, un giovane privo di esperienza critica possa assimilarne lo spirito falsamente anarchico, commettendo l'errore di tralasciare l'ascolto completo e sereno di una band che non ha bisogno di presentazioni.

Il bello è che pretende di offrire anche un vademecum per preparare lezioni di storia del rock a docenti e formatori scolastici, vendendo l'idea che i Beatles debbano ai Beach Boys l'autenticità di un contributo artistico che la surf band californiana non avrebbe avuto la sensibilità e i mezzi di recepire ed elaborare. Almeno non prima del 1966, quando i Beatles pubblicavano già Revolver.
Per tacere del fatto che la pubblicazione dei primi 45 dei BB è leggermente successiva a quella dei Beatles. 

Preciso che io adoro i BB e invito tra le tante a viaggiare, ascoltando "The warmth of the sun"

Non posso fare l'elenco delle idiozie che riesce a mettere insieme solo perchè semplicemente proietta sulla band di Liverpool un astio nevrotico degno di un intervento psicanalitico.

Vi dico solo che sfiora l'ipotesi che il gruppo sia stato messo su da una precisa strategia militare guidata dal MI5 volta a contrastare la paura di una forma d'invasione culturale statunitense.

Anch'io non amo particolarmente la musica di Francesco Guccini, pur stimandolo per il suo contributo storico. 

Ma non mi sognerei mai di escluderlo da un capitolo sul cantautorato italiano.

Insomma quando vedete i suoi libri, evitateli con cura.
Naturalmente, perchè troppo evoluti per un popolo così stupido da andare dietro alle canzonette di McCartney e soci.

Vaff...Scaruffi, era tanto tempo che volevo dirtelo e scrivertelo.

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