giovedì 5 novembre 2009
05/11/09, Il Fatto Qutidiano - LA CRISI CHE UCCIDE GLI ARTIGIANI
“Tre anni fa, quando tanti imprenditori spostavano la produzione all’estero, soprattutto quelli del nostro settore, il tessile-abbigliamento, ho scelto di far confezionare i capi interamente in Italia, dal tessuto al prodotto finito. Ho passato un periodo difficile, guadagnando molto meno rispetto a chi aveva delocalizzato. Ma ho continuato a puntare sulla qualità del Made in Italy. Oggi l’azienda va a gonfie vele, nessun segnale di crisi. Anzi, stiamo continuando ad assumere e a investire in attrezzatura ultra moderna”. Giancarlo Cracco, titolare della Energy confezioni di Montebello, in provincia di Vicenza, la sua personale battaglia alla crisi in corso l’ha già vinta, e prova a spiegarne il segreto. “Investo almeno 15 mila euro l’anno per nuovi macchinari, di solito giapponesi, necessari per rendere perfetti orli, polsini, asole. Cambiamo centinaia di aghi al giorno, perché le cuciture devono sembrare quasi fatte a mano. Ho appena speso 30 mila euro per un nuovo software che ci insegna a razionalizzare i costi. E ci aggiorniamo continuamente, con corsi, viaggi e via Web”. La Energy confezioni, 33 dipendenti per 5 milioni di fatturato, è un’azienda artigiana nata dalla passione del suo titolare (“Cerco prima di tutto di trasmettere ai dipendenti l’innamoramento per questo mestiere”) e dalla ricerca dei brand dell’alta moda – produce per Dolce e Gabbana, Prada, Dsquared, Martin Margiela, Blumarine una qualità “tutta italiana”. Questa però è una felice eccezione. Per il resto, l’artigianato in Veneto è in crisi come in nessun’altra regione. “A differenza di quanto è avvenuto in Italia (+0,11 per cento) – commenta Claudio Miotto, presidente di Confartigianato Veneto – per la prima volta da oltre 15 anni i tre mesi centrali del 2009 registrano un saldo negativo tra le iscrizioni e le cessazioni delle imprese artigiane”. Nei soli tre mesi da luglio a settembre, hanno chiuso i battenti in Veneto 149 imprese artigiane (-10 per cento), 2.655 invece dall’inizio dell’anno, portando ora la “dotazione” veneta a 144.408 ditte; meglio solo di Emilia Romagna (-180 aziende) e Calabria (-159). Il comparto maggiormente penalizzato è stato la meccanica, che ha perso 102 imprese in tre mesi. Ha tenuto l’edilizia (+0,04 per cento) ma non il settore delle costruzioni (-0,35 per cento), mentre crescono le società di installazione di impianti (+0,15 per cento), ma anche i servizi alle imprese (+1,64 per cento), quelli di comunicazione (+0,98 per cento), i servizi innovativi (+0,56%) e alla persona (+0,40%). “La ‘natimortalità’ delle imprese è un dato un po’ grossolano – prosegue Miotto – ma fondamentale per misurare la vitalità dell’artigianato. E questo calo continuo dall’inizio del 2009 si spiega solo considerando che in Veneto ci sono decine di migliaia di imprese in forte debito di ossigeno”. Secondo Confartigianato bisogna agire su tre fronti: liquidità, Made in Italy e riduzione delle tasse sul lavoro, carburante per far ripartire la domanda interna. «Stiamo trattando con la Camera di commercio di Verona – racconta Cracco, l’imprenditore di Montebello – per ottenere una certificazione di autenticità del nostro modo di operare interamente Made in Italy. Sarebbe la prima del genere in Italia”. La polemica su questo versante è nota: molte aziende, soprattutto del calzaturiero e tessile-abbigliamento, producono buona parte del loro prodotto all’estero, risparmiando su costi e manodopera. Poi fanno rientrare i capi semi-finiti, e ci applicano piccole finiture in Italia per giustificare l’etichettatura: Made in Italy. “Tante aziende vorrebbero solo ‘passare’ da noi, farci fare applicazioni minime, per giustificare l’attestazione del Made in Italy. Noi invece accettiamo solo i brand che ci consegnano il tessuto e vogliono indietro il capo finito, addirittura stirato e imbustato, pronto per i negozi”. Così in Veneto, dove fino all’anno scorso l’artigianato assorbiva anche la manodopera che le aziende più grandi lasciavano a casa, il mercato dell’occupazione è in stallo. Nei primi sei mesi del 2009, la regione ha avuto 11 mila posti di lavoro in meno, come risulta dall’indagine congiunturale di Confartigianato Veneto. “Siamo all’emergenza – commenta Miotto – si rende necessario dare risposte rapide e strutturali, perché ci sono interi settori nei quali il numero di imprese e l’occupazione stanno crollando”. Il calo degli occupati si concentra nelle attività produttive, in particolare quelle che sono state i punti di forza dell’artigianato locale, dal manifatturiero (-5,2 per cento la variazione dei dipendenti al primo semestre 2009), alle costruzioni (-5,1 per cento) al legno (-5,1 per cento), dal tessile-abbigliamento e calzaturiero (-6,1 per cento) al settore del vetro e ceramica (-6,3 per cento), alla meccanica (-6,9 per cento) all’edilizia (-8 per cento). Cresce solo il comparto alimentare (+5,3 per cento). A perdere lavoro sono soprattutto gli apprendisti: dall’inizio dell’anno ne sono rimasti a casa quasi la metà (-41,5 per cento) di quelli sotto i 18 anni, -8 per cento gli ultra-diciottenni. La contrazione riguarda anche gli operai (-4,2 per cento), soprattutto donne (-8,4 per cento) e stranieri (-7,5 per cento). “Non possiamo attendere che la crisi passi – chiosa Miotto – perché allora il nostro settore sarà enormemente impoverito, con un concreto rischio di marginalità. Servono rapidamente interventi strutturali per apprendistato, credito, miglioramento delle infrastrutture, costi della burocrazia, tasse”. O l’artigianato veneto tra un paio d’anni sarà polverizzato, nella migliore delle ipotesi assorbito dalle aziende medio-grandi.
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