lunedì 26 ottobre 2009

Cosa sarà questa cosa che ci lega all'oggetto della nostra passione?

Giovedì scorso sono stato invitato da un amico, Mimmo Costantino dello studio ERRESSE di Napoli a prendere parte ad un "focus group" con cui i tre soci intendevano "regalarsi" - se mi si passa l'espressione - il decennale dell'esistenza di una realtà consulenziale combattuta in un contesto socio/economico locale sufficientemente articolato da spingere un pur piccolo ma agguerrito studio a complimentarsi con sé stesso per la resistenza civile.

Oggetto della discussione, a cui hanno preso parte un gruppo di professionisti provenienti dalle categorie del profit/non profit, pubblico/privato e un gruppo di appassionati di linguaggi artistici (musica e cinema), dicevo oggetto della discussione é stato il rapporto che ciascuno di noi ha espresso con il senso del proprio lavoro conteso come sempre tra lo scollamento tra la missione pubblica dichiarata, la realtà organizzativa che si sforza di mediarne l'efficacia divisa tra il pragmatismo del mercato e la necessità di un'identità e la sopravvivenza dell'individuo rispetto alla dimensione lavorativa.

Tema mai più sentito e appropriato in questo momento della mia vita professionale.

Se io non avessi nutrito negli anni di crescita umana e quindi aziendale l'urgenza, tutta spontanea e naturale, di un rapporto con il piacere della progettualità artigianale che mi lega al mio operare di lavoratore alla mia materia, alle finalità del mio "fare quotidiano" e alle persone oggetto della relazione del mio opus umano, non faccio fatico a scrivere che sarei Nulla e come il Niente perduto nel vagare alla ricerca di un approdo qualunque.

Minacciato dalla vulnerabilità di una condizione che invece l'esperienza di un carattere, come il mio, più identitico a sé stesso rispetto a quelli che inseguono furbi la flessibilità e il richiamo del "tutto-e-subito", mi ha aiutato ad evitare.

Da quel'incontro sono emersi altre tematiche rilevanti per la difesa etica del senso del proprio lavoro, come la responsabilità sociale e il senso del sacrificio, ma anche la forza trainante e democratica di un gruppo coeso intorno ad un ideale, un bisogno, un principio.

Ma su tutte, ha sorpreso ancora la risorsa della passione che io preferisco pensare come una opportunità eccezionale nel renderci coinvolti alla costruzione, più che alla strategia della difesa dagli attacchi che la vita ci presenta.
Chissà, forse é anche una forma di cecità irrazionale quella che ti spinge a lucidare la macchina vintage, a riunirti con gli amici fan di una band musicale morta e sepolta da 40 anni ma mai viva come in quel momento.

Dalla e De Gregori cantavano a questo proposito "Cosa sarà" e io la dedico agli amici dello studio Erresse e al piacevolissimo incontro di giovedì scorso, nell'augurio di poterci rivedere ancora.

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