sabato 17 ottobre 2009
17/10/09, Il Fatto Quotidiano - Addio a Mary che se ne è andata nel vento
Erano lei, Peter e Paul: cantarono per primi “Blowing in the wind” Erano i tempi di Martin Luther King e delle marce contro l’atomica
di Furio Colombo
Me lo chiede un lettore, Antonello Farris, in una email del 12 ottobre. Ha notato che "il Fatto Quotidiano" ha lasciato passare senza una riga la notizia della morte di Mary, Mary Travers, la ragazza bionda del trio che molti non hanno dimenticato. Dice il lettore: “Chiedo a Furio Colombo, che conosce quei tempi, di dedicare un piccolo ricordo alla Travers sulle pagine del "Fatto", grazie”. Sono io che lo ringrazio.
Senza il suo invito non ne avrei scritto e avevo già detto no alla richiesta del giornale. La ragione è che cerco di star lontano dalla parte di memorie che sono anche personali.
Faccio un esempio: nei molti documentari che ho filmato in quel tempo per la Rai (e dove Peter, Paul e soprattutto Mary, compaiono con canzoni e interviste) io non ci sono mai. Resto "fuori campo", contraddicendo la tradizione che è sempre stata tipica del giornalismo televisivo nel mondo.
Non so se è stata una buona idea ma è la stessa che mi ha trattenuto dal parlare (scrivere) di Mary appena da New York ho saputo. Non potevo non tornare "a quei tempi". Primi mesi del 1960, primo incontro e primo legame, in una città splendida e sconosciuta che ha fatto esplodere, nel mondo di John Kennedy, Robert Kennedy, Martin Luther King, Allen Ginzburg, Norman Mailer, Arthur Miller, Leonard Bernstein, tutti i sogni che può avere una persona giovane che arriva a New York. Era un tremendo gennaio di neve tra cui dovevi scavare trincee, per camminare. La marcia nel gelo verso Bleeker Street, in compagnia del poeta e commediografo Arnold Weinstein, sarà durata due ore.
Ma bisognava andare al Bitter End, c'erano Peter, Paul e Mary: un trio che da solo stava restituendo vita al canto folk americano (lavoro, non violenza, pace, giustizia e un notevole talento musicale, una voce che non dimenticavi). Bisognava andare, come si và a una marcia e una dimostrazione, per ragioni che non puoi accantonare. Non erano, non ancora, le radio a diffondere il culto del trio.
Era un culto sussurrato che rimbalzava nel mondo giovane (dalle case editrici ai campus), che sentiva qualcosa di nuovo e di diverso in arrivo, la generazione sotto i venti anni che era in uno strano contatto con i più anziani solo attraverso poesia, musica, battaglie sociali e la crociata di Martin Luther King. Il mio primo vero giorno d' America è cominciato spingendo la porta del "Bitter End", entrando nel cono di luce e dell' unico riflettore. C'era troppa gente, si stava in piedi ma potevi arrivare davanti. In quei pochi metri, tra lo scampanio di chitarre di Peter e Paul e la voce sicura come una guida, un po' rauca come nella tradizione nera, forte e tesa, più che
studiata, come nei canti del lavoro. La voce di Mary Travers.
Ero arrivato nel territorio della musica giovane americana, di un buttarsi avanti senza garanzie, senza cautela, senza interessi o prudenza. Ero entrato nel mondo giovane illuminato, piantato in mezzo alla scena, davanti all' inizio di un' altra America.
Tutto il resto fa parte della corsa pazza della vita dei giovani in un luogo e in un momento in cui la storia (quella grande, dei testi, quella piccola di chi si trova a passare) ti fa trovare dove vive e respira tutto ciò che lascerà una traccia di cambiamento nel mondo. Mary abitava nel Village (più o meno nella strada, nelle scale, nella casa che ho descritto nel mio primo libro, "Le donne matte", pubblicato un po' dopo , nel 1964) e io ho cominciato l' esperienza di quella vita quartiere, musica, poesie declamate nei caffè (Ginzberg), canzoni inimmaginabili mai sentite (Bob Dylan) marce a New York con Harry Belafonte contro la bomba atomica, le sere con Arthur Miller, con Norman Mailer. per parlare di diritti civili contro la guerra. L' incredibile "festa di Bernstein", su, in Park Avenue, affinché signore liberal, ascoltassero Eldridge Cleaver.
Il teatro di LeRoi Jones nelle stanze in cui vivevamo, (con la testa fasciata, la benda sanguinante da quadro di David, la notte della prima rivolta nera di Newark e la decisone di chiamarsi Amiri Baraka). L' arrivo di Andrew Young (che poi sarà il primo ambasciatore nero di Carter) che viene a casa di Mary e ci porta tutti alla marcia di Washington di Martin Luther King. Ma la rete è fitta.
Le cose accadono come se qualcuno avesse preparato un programma troppo grande . Bob Dylan canta a un isolato da qui, in Mc Dougal Street . E' li che ascolto per la prima volta"Blowin' in the wind". Mary viene a sentire e decide: la canteranno loro, Peter, Paul and Mary. Ci vuole un manager per questi ragazzi e io Porto Albert Grossman, che abita di sopra e sarà il manager prima di Mary e poi di Bob Dylan per tutta la vita. Ci vuole un disco, ma l' impresa, a quel tempo, costa poche migliaia di dollari (che a noi sembravano molti, ma c'è stato
un sostegno immediato). Il
disco è il successo di un
intero anno.
E poi per sempre, un po' prima di Dylan che canta. Nasce il culto di "Blowin' in the wind" che Peter, Paul and Mary hanno consegnato a un' intera generazione di giovani americani, soldati del Vietnam inclusi. E ogni generazione di giovani l'ha passato all' altra, fino ai nostri giorni. Quanto a Mary Travers, come nella commedia di Neil Simon “Same time, next year” (lo stesso giorno, il prossimo anno), ho continuato a vederla ogni volta che c' era di nuovo una questione di diritti, di pace e di folle piccole o grandi che chiedevano voce.
Ogni volta parlavamo
per un minuto, come allora, come se il destino dipendesse da noi. Poi di come passano gli anni, dei figli che crescono, del dopo, un dopo che- chissà perché- non è più così promettente. Qualche volta c' erano Peter e Paul. Qualche volta solo Paul. E intorno a noi la gente e fervida ma più anziana, come metterti di fronte ad uno specchio. L' affacciarsi di Obama sembrava, allo stesso tempo, tutto il passato che vince, oltre le sconfitte e i delitti, e tutto il futuro che arriva e di nuovo trascina i più giovani. Ma, come è accaduto i tutti i comizi di Obama, la musica è quella. Joan Baez, Bob Dylan, Peter, Paul and Mary. "Blowin' in the wind".
Non dice che il passato continua. Dice che qualcosa di bello e di grande deve ancora avvenire.
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Un ENORME grazie a Furio Colombo. Ha reso giustizia, almeno in questa sede, alla smemoratezza del servizio pubblico radio-televisivo nonchè dei più noti e letti quotidiani. Forse è già iniziato il tentativo da parte di qualcuno dello svuotamento della memoria per le cose che nessuno potrà mai cancellare? Poveretti..Non ci sarà mai un Fahrenheit 451..berlusca se lo scordi.
RispondiEliminaCiao da Antonello Farris