lunedì 16 novembre 2009

Mono o stereo? Parte 2 - considerazioni sui remastered dei Beatles

di Mauro Boccuni

Nel  post pubblicato ieri, terminavo il mio ragionamento con la necessità di ricondurre il "dibattito" ad un ragionamento orientato da tre prospettive.

La prima prospettiva è quella storica.
La gran parte della produzione musicale degli anni senssanta era concepita per la pubblicazione dei 45 giri (e degli LP) in versione monofonica.

I produttori discografici e i musicisti elaboravano quindi un suono ottimizzato per garantire l'impatto più efficace possibile attraverso le strumentazioni disponibili in studio pensate per i giradischi domestici.

Da questo punto di vista, i master dei Beatles non fanno eccezione alla regola.
George Martin (nella foto, accanto alla consolle di registrazione/missggio) produceva il missaggio innanzitutto in monofonia perché questo sarebbe stato utilizzato per le stampe dei 45 giri in Inghilterra e in Europa.
Dal 1965 in poi, con la crescente commercializzazione degli apparecchi stereofonici in America, anche a Martin avrebbero chiesto di produrre le versioni stereofoniche del repertorio del quartetto di Liverpool.
Complici le tecnologie ancora inadeguate e di conseguenza la mancanza di una necessaria esperienza tecnica ed artistica per concepire un differente tipo di missaggio musicale, le versioni stereofoniche dei Beatles diventavano una lavorazione  affrettata - la base strumentale da un lato e dall'altro le voci - di quattro segnali utili per produrre invece un ottimo prodotto monofonico.

I segnali in uscita da miscelare erano quattro perché la tecnologia di registrazione si basava sull'uso di registratori a nastro multipista a quattro tracce.
Cosa fosse un registratore a quattro piste e cosa sia la registrazione multipista lo scriverò in un apposito post per dettagliare meglio da un punto di vista artistico perché. ad esempio, si grida al miracolo quando si citano album pop/rock di cinquant'anni fa che un ascoltatore moderno considera SOLO come pietre miliari del repertorio musicale del 20° secolo.

La seconda prospettiva è quella che ho definito estetico/percettiva. Mi riferisco in particolare all'affermazione negli anni settanta di un metodo produttivo idoneo allo sviluppo della stereofonia come la intendiamo e la apprezziamo oggi.
I produttori e i musicisti finalmente possono introdurre oltre al piano panoramico anche lo sviluppo della profondità.
Si tratta in pratica della simulazione di un ambiente sonoro "virtuale" dove fronte/retro, primopiano e figura di sfondo diventano una realtà espressiva in grado di valorizzare la performance.

Un esempio che permette di comprendere il salto di qualità in termini percettivi è la microfonazione  per la registrazione della batteria.

La batteria di Ringo Starr nel periodo 62/63- da fonti fotografiche - risulta essere ripresa con un solo microfono panoramico e la sua registrazione veniva premiscelata in fase di registrazione su un'unica pista assieme al basso e ad una chitarra, quella ritmica.

Un schema standard di ripresa della batteria di un gruppo rock  - da fonti bibliografiche - degli anni settanta prevedeva non meno di sei microfoni assegnati rispettivamente alla grancassa, al rullante, al charleston, ai due tom tom, al timpano e l'ultimo ai piatti.
Ciascuno di questi microfoni veniva poi associato ad una pista delle prime sei del registratore a 24 tracce, offrendo al musicista la possibilità di fare un vero mix stereofonico della batteria, cioé di disporre ben sei segnali distinti della ritmica sul panorama destro/sinistro.
Tutto ciò non tenendo conto delle potenzialità derivanti dal processo di equalizzazione del segnale di cui non voglio scrivere in questa sede.

Questo esempio però chiarisce il salto estetico/percettivo che le due tecnologie - qualle mono e quella della stereofonia "reale"- offrivano al rock.

Arriviamo quindi all'oggetto del nostro contendere: mono o stereo?

Stereo: dopo cinquant'anni è diventato sinonimo di standard di ascolto della musica.
Se fino a soli 25 anni fa molti ancora rispettavano la volontà di apprezzarne i benefici regalandosi un'ora di ascolto dinanzi al proprio impianto domestico, oggi sono pronto a scommettere che la maggior parte delle persone non sarebbe in grado di distinguere la differenza tra i due tipi di ascolto.
La stereofonia è dovunque in macchina, nell'I-pod come nei walkman della mia generazione, nei televisori, nelle radio, nei pc.
I ragazzi sentono musica dividendosi gli auricolari, il guidatore è concentrato sulla guida e troppo spostato a sinistra, il rumore ambientale è tale da impedire ad un I-pod di riprodurre decentemente un brano senza l'aiuto di un correttore dell'equalizzazione.
Gli altoparlanti dei televisori e nelle radio sono troppo vicini per apprezzare la distribuzione d'ambiente.

 Allora? Mono o stereo oggi diventa una questione di gusto rispetto alla migliore resa di un genere, o di una particolare esecuzione.

Il rock delle origini, quello di Berry, Little, Richards, Fats Domino, Elvis, Buddy Holly, Eddy Cochran, Jerry Lee Lewis, il wall of sound di spector, la Motown, la Stax e quindi I Fab, gli Stones, gli Who &C. suonano grandi in mono perché è un sound compatto, energico, forte, aggressivo.

Non erano necessari dettagli tali da richiedere funambolismi tecnologici di sala.
Il disco scendeva nel juke box e tutti ballavano come degli scalmanati.
Quello che usciva dalla cassa acustica doveva arrivare all'area pelvica del gruppo, eccitandoli. Il resto non contava.

Quando la musica comincia a  farsi Grande di età e richiede maggiore attenzione ai suoi ascoltatori, il discorso cambia.
Ma io ho ambedue i master delle nuove edizioni dei Beatles e devo dire che la professionalità raggiunta da Martin nel miscelare in mono, che era appunto lo standard dell'epoca, rende eccellenti anche gli album degli anni dello studio come Revolver, Pepper, MMTour e il Bianco.

Credo che se oggi il disco di 50 cent o di Mika uscisse in mono non se ne accorgerebbe nessuno.
"Basta-che-si-sente!"

Un'orchestra sinfonica registrata in ambient sorround o un album di Biork o dei Sigur Ros in stereo (o in 5.1) dipendono artististicamente anche dalla tecnologia che gli artisti aiutano a trasformare in uno strumento creativo grazie al loro talento.
Ho anche la versione in 5.1 di Love che è l'evento del Cirque du Soleil costruito sulla musica dei Fab.
Questa versione non aggiunge niente a delle performance così "ambient" già nella partitura, nella fantasia creativa degli anni di studio e nel suono che ancora oggi insegna tutto a schiere di nuovi artisti

Quindi concludo questo post scrivendo che i Beatles, a me, complessivamente piacciono di più in mono.
Perché è il suono come loro lo avevano inteso.

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