mercoledì 16 dicembre 2009

Micocci, IL direttore artistico prima della putrefazione dell'industria discografica italiana

Rileggendo il mio precedente post, trovo alcuni spunti utili al proseguimento della ricerca di vitalità nella musica se non proprio di senso che mi pare sia un obiettivo tramontato da tempo nell'ambito delle pretese di qualunque linguaggio artistico.

La discografia è defunta da parecchio tempo e i segnali di putrefazione si possono decifrare nei tanti patetici espedienti commerciali con cui vengono mantenute aperte le poche sedi dove i nuovi manager educati alla Bocconi o alla Luiss vestono con piglio arrogante le parti ma non le vesti dei primi noti direttori artistici delle case discografiche italiane.

Dicevo degli espedienti tra i quali spiccano due fenomeni dilaganti:
  1. i cd di cover con ospitate e dvd dal vivo 
  2. la rimasterizzazione del catalogo dei padri del rock/pop con esiti sovente ancorati al solo profitto, poche volte invece partoriti con un investimento e con la partecipazione degli artisti, se ancora residenti in terra coi piedi e la testa.
Dovrei aggiungere in realtà anche i tour delle reunion a cui in genere segue la ristampa digitale del catalogo e raramente la pubblicazione di un nuovo lavoro.

Lo spunto per questo post mi è stato suggerito dalla recente lettura di un volume "Vincenzo, io ti ammazzerò" sul e scritto dal noto direttore artistico Vincenzo Micocci, apprezzato talent scout della generazione romana dei cantautori emersi all'inizio degli anni settanta e ancora oggi, a volte con dolore, presenti sulla scena.

Domenica poi ho acquistato un recente volumetto di Ernesto Assante che ha raccolto, credo, molti dei suoi scritti ed articoli giornalistici sui rapporti tra musica e società sotto il titolo "Copio dunque sono".

Due pubblicazioni che, uscite quasi coeve a livello di pubblicazione, osservano la Storia delle dinamiche socio/tecnologiche che hanno influenzato dapprima lo sviluppo del repertorio musicale italiano della seconda metà del 20° secolo e poi hanno contribuito ad indebolirne le fondamenta, concorrendo al degrado del prestigio precedentemente conquistato il tutto il mondo e rendendo di fatto impossibile il riconoscimento delle poche esigue forze espressive presenti sul territorio.

Micocci è stato un patron della musica pop d'autore che nella sua prosa dal sapore storico/deterministico trova stupefatto sé stesso come principale interprete degli equilibri del regno romano diviso tra etichette americane come la RCA e nuove proposte editoriali sorte per l'impegno e una buona dote di rischio da parte dello stesso Micocci & friends.

Al di là dello stile un pò troppo encomiastico e prudente nell'evitare di spargere troppi veleni tra i tanti ricordi, al punto tale da fare risultare la lettura decisamente ostica per l'eccesso di "epurazione", il testo rende merito all'impegno di un uomo competente, ostinato, coraggioso e dotato di un intuito da talent scout. pare, davvero non comune.

Micocci certo nasce in un periodo, quello del secondo dopo guerra dopo molto era possibile e tanto era permesso grazie anche alla straordinaria energia creativa che la censura bellica e la miseria di mezzi avevano finito per liberare come un fiume in piena.
Ma tanti erano anche i vincoli politici e le censure che imponevano odiose censure a quelle che oggi leggiamo come innocenti manifestazioni di costume nei testi come nell'abbigliamento nei pochi media disponibili negli anni '60.


Eppure....eppure, quali grandi autori e quali personalità sono uscite dalla RCA e dalla Ricordi, Roma vs Milano !!!
Vanoni, Paoli, Gaber, Jannacci, Morricone, Bacalov, Morandi, Pavone, Vianello, tutto il beat italiano.
E poi i cantautori romani, napoletani, milanesi, calabresi....

Per molti c'era un provino, una selezione, almeno due dischi e poi eventualmente CIAO!!!!
Certo all'epoca i dischi si vendevano a anche la cassetta non era riuscita ad incidere più di tanto sul profitto delle case discografiche.

Ma io sostengo che se la tecnologia e la rete hanno scardinato le economie di scala, dall'altra sono venute meno le competenze editoriali dei direttori artistici tipo Micocci che era un conoscitore musicale, sapeva cogliere il talento in erba e farlo crescere. E produrre un disco all'epoca costava parecchio, eccome !!!
Oggi i direttori artistici vogliono cloni, solo cloni, Rese elevate nel brevissimo e poche idee originali.
Chiedono ad X-factor di sostituirsi al ruolo funzionale dell'azienda, per poi lamentarsi della puzza che la putrefazione del settore sparge ogniddove.

Tranne che nella voglia di ascoltare musica, della buona musica, di ogni genere e tipo.

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