martedì 8 dicembre 2009

Rete, musica e società

C'era un mensile tanti anni fa che si intitolava "FARE MUSICA". E fino a qualche anno fa il settimanale di "cultura" musicale della Repubblica recava arditamente il titolo "MUSICA".
Ambedue le riviste cavalcavano il tentativo di servire da un lato un'informazione utile e dall'altra le necessità delle tendenze dettate dai mercati.
Nulla di nuovo. A meno che non si tratti di un'iniziativa di un mecenate dell'arte, in genere un'operazione editoriale di tipo giornalistico definisce la propria fattibilità a partire, ad esempio, dagli accordi di distribuzione e dalla raccolta pubblicitaria desumnibile dalla proposta della rivista, dai protagonisti della redazione, dal pubblico che intende intercettare.
Una rivista, ma anche un libro o un cd sono concepiti alla stregua di prodotti da commercializzare, da vendere con una sensibilità sbilanciata più verso il supporto che verso il contenuto veicolato.
E' per qusto tipo di realtà da cui siamo circondati che si parla di prodotti/mercato, consumati da mercati/prodotto.
Ciò significa che gli acquirenti, cioè NOI, siamo diventati dei commutatori di valore attratti dalla performance "artistica" con cui le aziende sollecitano i consumatori all'acquisto del prodotto.
Se il supporto non è qualificabile come un prodotto da cui ricavare profitti su scala industriale, la proposta è esclusa dal processo di produzione.
Ma la filiera appena descritta, da ca. una ventina d'anni ha mostrato tutte le debolezze del sistema e sta pagando duramente i costi delle sue battaglie. Anche perché l'industria culturale anziché valutare le potenzialità di Internet, il suo nemico dichiarato, ha tentato e continua a combatterlo, ignorando le radici compartamntali che la rete ha sviluppato nelle società e nelle ultime generazioni.
All'inizio del'anno subito dopo l'ultima edizione di San Remo, complice la partecipazione degli Afterhours alla manifestazione con il dc"Il Paese è reale", ha avuto inizio un dibattito tra tutti gli attori del contesto musicale italiano intorno al tema della crisi discografica e delle soluzioni per superarla.
Il dibattito non a caso è stato patrocinato da "XL", la rivista che ha sostituito "Musica".
Dico non a caso perchè la rivista tutela l'idea o meglio l'associazione tra il concetto di Musica e il manufatto industriale.
Come se gli effetti della comunicazione attraverso la performance artistica avesse il DOVERE di essere veicolata, organizzata, filtrata legittimata ve autorizzata solo dall'industria culturale.
Non intendo deligittimare il significato e il peso si quest'ultima nella importante storia dell'editoria, ma alla luce dell'evoluzione delle recenti logiche produttive e distributive del Fare musica queste pretese suonano anacronistiche, per non dire arroganti.

L'offerta tecnologica dell'informatica e poi la rete hanno spezzato i princìpi di dipendenza che obbligavano il fruitore di musica registrata ad acquistare dischi.

L'avvento dei software di condivisione di documenti multimediali hanno introdotto l'abitudine a prelevare musica, film e software come se la comunità coinvolta nel processo mettesse "in chiaro" uno scaffale dei titoli artistici in suo possesso.

Ma la rete con i social network più usati e i bassi costi di produzione multimediale associati al pc ha introdotto, presso il pubblico desideroso di farsi conoscere attraverso i linguaggi artistici. la pratica della produzione e della distribuzione autonoma, in tempi sufficientemente rapidi.

La rete ha permesso anche di più a chi nel passato ha provato a promuoversi con i concerti live, la promozione del proprio cd in download gratuito.

Saranno state delle prove o anche delle provocazioni, ma hanno reso possibile l'alternativa che certo soffre di vincoli fiscali e balzelli burocratici di ogni genere.

Tirando le somme, io posso solo dire che il calo delle venditw di musica registrata nel settore della cosiddetta "musica di consumo" (nno sono aggiornato per la classica e l'opera) non ha però altrettanti riscontri nella richiesta di ASCOLTO che anzi si è moltiplicata grazie alla disponibilità della portatilità delle apparechiature come gli I-pod o gli I-phone.

Il problema a mio giudizio risiede nella crisi di competenze del ruolo del talent scout se questa funzione esiste ancora, nella crisi strutturale di luighi in cui fare della musica che nno sia musica d'intrattenimento serale tra una birra ed un panino alla piastra.

Scelte d'impresa culturale vere e proprie, cioè. Tipo l'offerte di 100/150 locali che nelle varie zone di una città di un milione di persone permettano di ospitare per una settimana e più gruppi di ogni genere per farsi le ossa sui palcoscenici VERI, allontanandosi dai rituali nefandi delle TV.
Sviluppo di reti di accesso (mezzi di trasporto e parcheggi) con orari 24 su 24, politiche per l'incentivazione all'apertura dei locali e delle associazioni culturali.
Sviluppo di media locali e della cultura di internet nella cittadinanza.
Musei/laboratori per la produzione di coscienza e conoscenza.

La rete inoltre è un vero proprio luogo, non solo un mezzo.

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